venerdì 19 marzo 2010

LAOGAI... IL VOLTO FEROCE DELLA CINA COMUNISTA

(dal sito ufficiale della: Laogai Research Foundation Italia www.laogai.it)

Cosa significa la parola Laogai?

La parola LAOGAI è in realtà una sigla ricavata da “LAODONG GAIZAO DUI” e significa “riforma attraverso il lavoro”. I LAOGAI sono tuttora strettamente funzionali allo stato totalitario cinese per il doppio scopo di perpetuare la macchina dell’intimidazione e del terrore, con il lavaggio del cervello per gli oppositori politici e di fornire al regime un’inesauribile forza lavoro a costo zero. Per queste ragioni il sistema dei Laogai è in pieno sviluppo.

Il numero dei campi di lavoro e il numero dei detenuti è considerato “segreto di stato” in Cina

Al settembre del 2006 vi erano almeno 1045 Laogai in Cina. La Laogai Research Foundation pubblica un catalogo dei Laogai di cui è a conoscenza, un catalogo dei Campi: Il Laogai Handbook. L’ultima edizione è del 2008, che elenca ben 1422 campi Laogai attualmente attivi.

Rieducare attraverso il lavoro chi la pensa diversamente.

Una parte della grande struttura dei LAOGAI si chiama LAOJIAO (Laojiaosuo o rieducazione attraverso il lavoro). Il LAOJIAO è un sistema di “detenzione amministrativa” per cui si può essere imprigionati direttamente dalla polizia senza nessuna sentenza, fino a 3 anni. Il LAOJIAO è infatti, principalmente, usato per le persecuzioni contro i dissidenti, religiosi e credenti di tutte le religioni.

Il Governo Cinese ha recentemente comunicato una proposta di legge che riformera’ il sistema dei campi di lavoro forzato, LAOJIAO. Secondo Amnesty International, però, il tema della riforma della “rieducazione attraverso il lavoro” (LAOJIAO) è nell’agenda legislativa cinese da oltre due anni. Nel suo comunicato del 18 ottobre 2007, la stessa organizzazione ha chiesto al Comitato Permanente del Congresso Nazionale del Popolo di garantire che qualsiasi normativa sostituisca quella oggi in vigore sia perfettamente in linea con gli standard internazionali sui diritti umani, compresi il diritto a un giusto processo e la libertà dagli arresti arbitrari.

Purtroppo spesso le “riforme” proposte all’interno del regime cinese sono solo modifiche cosmetiche dirette alla “ricostruzione di immagine” del paese, che deve apparire “armonioso” in ogni suo aspetto. Infatti, secondo un articolo di Voice of Asia del 1° marzo 2007 Luo Gan, capo della Commissione Giustizia, ha confermato l’importanza di mantenere il sistema del LAOJIAO.

Il LAOJIAO è lo strumento prioritario di repressione contro il Falun Gong, una pratica religiosa cinese con elementi di confucianesimo, buddismo, taoismo ed esercizi fisici. Infatti, dal 1999 è in corso una durissima persecuzione contro i Falun Gong, che vengono arrestati e uccisi e i cui organi, principalmente il fegato, i reni e la cornea, vengono venduti a clienti cinesi, asiatici e occidentali per alti profitti. La stampa internazionale, il Congresso USA e numerosi politici hanno denunciato questi crimini. David Kilgour, ex segretario di stato canadese, e David Matas, avvocato, hanno pubblicato un rapporto sulla “Conferma di espianti di organi a praticanti del Falun Gong”. Questo rapporto è stato rivisto ed aggiornato nel gennaio 2007 .

Esecuzioni capitali (Attuamente 10.000 circa all'anno)
Oggi migliaia di persone, accusate spesso nel corso di processi sommari, sono condannate a morte in Cina mediante la fucilazione, eseguita di frequente davanti ad un pubblico appositamente convocato che include studenti universitari, scolaresche delle scuole medie e parenti dei condannati, cui inoltre spetta l’onere di pagare il costo delle pallottole usate contro i loro congiunti. Continua dai tempi di Mao Zedong l’uso di trasportare i condannati al luogo dell’esecuzione su autocarri scoperti. Tutti quelli che assistono debbono meditare sulle tragiche conseguenze cui conduce trasgredire la legge, giusta o ingiusta che sia.

Amnesty International e altre organizzazioni umanitarie internazionali segnalano da tempo questa orribile pratica. Nel Rapporto 2008 Amnesty International denuncia le migliaia di esecuzioni , l’aumento di iniezioni letali per uccidere i prigionieri e facilitare l’espianto di organi freschi, nonché gli alti profitti derivanti dalla loro vendita.

Il numero delle esecuzioni capitali è ancora considerato segreto di stato in Cina. Durante un’intervista all’Agenzia Reuters nel febbraio 2006, Liu Renwen dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali conferma che il numero delle uccisioni annuali è tra 8.000 e 10.000. Il sistema giudiziario cinese è approssimativo e corrotto, privo delle minime garanzie legali per gli accusati; a prova di ciò, nella stessa comunicazione della Reuters, si descrivono due casi: quello di un macellaio accusato e ucciso per avere assassinato una cameriera, successivamente ritrovata viva e vegeta, e la vicenda di un marito incarcerato 11 anni per l’assassinio della propria moglie, rintracciata in seguito viva e sposata a un altro uomo. Un rapporto dell’organizzazione internazionale Human Rights in China denuncia il caso del diciottenne Hugejileitu, ucciso nel 1996. La sua famiglia, venuta a conoscenza della testimonianza di un altro detenuto, aveva accusato la polizia di aver torturato il giovane. Nel 2005, quasi dieci anni dopo la sua morte, l’agenzia di stampa Xinhua informa che il vero assassino aveva nel frattempo confessato di essere l’autore dell’omicidio per cui Hugejileitu era stato accusato.

Ricordiamo che Manfred Nowak, l’inviato delle Nazioni Unite che ispezionò nel dicembre 2005 alcune pri¬gioni, ha denunciato l’uso continuo della tortura e chiesto al governo di Pechino di abolire le esecuzioni capitali per i colpevoli di crimini non violenti o di natura eco¬nomica. In un altro suo rapporto del 10 marzo 2006, ha denunciato anche le con¬fessioni estorte con la tortura.

Non soltanto le organizzazioni umanitarie e la stampa internazionale hanno sempre denunciato le esecuzioni capitali in Cina. Il Parlamento Europeo, nel febbraio del 2007, ha chiesto un’immediata moratoria sulla pena di morte e ha dichiarato che, su un totale di 5.420 esecuzioni (dati ufficiali), almeno 5.000 sono state realizzate in Cina, e cioè circa il 91% del totale mondiale di esecuzioni capitali. Anche il Parlamento Italiano durante la seduta del 12 dicembre 2006 ha condannato la mancanza dei principi fondamentali nel sistema giudiziario cinese e l’aumento del numero delle pene capitali in Cina.

Inoltre un membro dell’Assemblea del Popolo, il prof. Chen Zhonglin, ha dichiarato nel marzo 2004 che il numero di esecuzioni capitali in Cina è di circa 10.000 all’anno. In un comunicato del 9 febbraio 2005, Amnesty International ha affermato che si sta verificando un grande aumento delle esecuzioni capitali in Cina e la pratica del “colpisci duro”, che tende ad aumentare il numero delle esecuzioni durante i periodi delle festività, continua ininterrotta. L’organizzazione umanitaria ha dichiarato che almeno 200 esecuzioni sono state effettuate nelle due settimane precedenti l’inizio dell’anno lunare, il 9 febbraio 2005, e che almeno 650 altre uccisioni sono state riportate dalla stampa locale tra il dicembre 2004 e il gennaio 2005.

Perché si viene uccisi in Cina oggi? Nel 1989 i reati puniti con la pena di morte, previsti dal codice penale, erano venti, ora sono sessantotto. Tra questi ultimi: frode fiscale, contrabbando, traffico d’arte, violazione di quarantena se ammalati, reati per danni economici, apparte¬nenza anche indiretta ad “organizzazioni illegali”, ecc. L’allargamento dell’area dei delitti repressi con la punizione capitale non promette nulla di buono, considerando anche la superficialità dei tribunali, che celebrano processi privi di garanzie legali per gli accusati.

Ricordiamo il caso dell’uiguro Ismail Semed, ucciso il 9 febbraio 2007 dopo la condanna pronunciata dal Tribunale del Popolo della città di Urumqi, nella provincia dello Xiniang. L’accusa era quella di secessione, di ”voler dividere la patria”. Nello Xiniang, infatti, vive una minoranza di circa 40 milioni di persone di religione musulmana, continuamente perseguitata dal regime. La moglie di Ismail racconta, in un comunicato di Voice Free Asia che il marito, durante un breve incontro di pochi minuti prima di essere ucciso, le ha rivelato che la sua confessione era stata ottenuta con la forza e le raccomandava “di pensare ai figli e di educarli bene”. Lo stesso destino hanno sofferto Wang Zhedong, condannato a morte dal Tribunale di Yingkou per frode nel marzo del 2007, e Zhao Yanbing, operaio edile, condannato a morte dal Tribunale Popolare di Linfen nella provincia di Shanxi nel luglio del 2007. Ugualmente il Tribunale n. 1 di Pechino ha condannato a morte nel luglio del 2007 Zheng Xiaoyu, capo dell’agenzia cinese che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici. Nell’accusa di corruzione, a lui rivolta, per avere accettato denaro in cambio dell’approvazione di medicinali contraffatti, con il rischio di danneggiare l’immagine della Cina e provocare ripercussioni economiche negative per la finanza cinese, non si accennava affatto alla salute dei pazienti. La stampa internazionale si è occupata di questo caso. Un articolo del Washington Post ricorda che “mentre Mao considerava il denaro un nemico della rivoluzione, ora il denaro è la base della nuova ideologia”.
Di queste persone è giunta almeno notizia, ma degli innumerevoli altri?
In seguito all’aumentata pressione internazionale, il regime cinese ha approvato nel 2006 una legge secondo la quale dal gennaio 2007 tutte le esecuzioni capitali devono essere riviste e convalidate dalla Corte Suprema del Popolo perché ne sia assicurata la validità. Come descrive il recente rapporto di Human Rights in China, le nuove riforme e leggi introdotte dal regime comunista dall’ottobre 2006 al marzo 2007 prevedono la revisione di tutte le pene capitali da parte della Corte Suprema, il rifiuto di confessioni ottenute mediante la tortura e l’originale disposizione che i giudici della stessa Corte Suprema debbano, per principio, interrogare l’accusato. Quante corti supreme occorrerebbero in un paese con 1.300.000.000 abitanti?
Il nuovo principio adottato dal partito sarebbe di “uccidere meno educcidere con attenzione”. Tuttavia, come giustamente denuncia il rapporto, quale valore possono avere tali misure in un sistema dove l’attività di tutti i tribunali è diretta dal comitato legale-politico del partito comunista, da cui i giudici dipendono per la carriera, i salari e gli altri benefici; dove esiste il segreto di stato sulle procedure legali, sul numero delle esecuzioni, sulle prove e le motivazioni che hanno portato alla pena capitale; dove si usa la tortura per ottenere le confessioni; dove non esiste la minima garanzia di un processo equo e di presunzione di innocenza almeno fino a quando si è riconosciuti colpevoli; dove spesso gli avvocati della difesa sono intimiditi, picchiati, arrestati; dove l’ avvocato difensore non può interrogare i testimoni ? La risposta a questo interrogativo è intuitiva.
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PLASTIFICAZIONE DEI CORPI


Orrore: i fucilati dal regime ora sono mummie da show (da www.ilgiornale.it)


Pagate il biglietto e passeggiate nell’orrore. C’è un cadavere a cavallo, ha le braccia tese, le mani socchiuse. Le guardate da vicino. Una stringe il cervello dell’uomo, l’altra quello dell’animale. Fate un passo indietro, v’imbattete nel corpo ignudo di una ballerina, la pelle scorticata i muscoli tesi, le ossa sporgenti. Due metri più in là un busto inarcato le budella tese, lo stomaco tirato, gli addominali scolpiti, e nel pugno chiuso una palla di baseball pronta al lancio. In fondo una carcassa scuoiata si libra su un paio di pattini. Vorreste fuggire, ma a sbarrarvi la strada c’è quel carcame di donna vivisezionata dal seno all’addome, quel feto affacciato dalla finestra del suo utero reciso. Ci siete dentro e non è un film. A «Bodies the Exhibition» («Corpi , la mostra») spietata mostra di cadaveri plastificati tutto è macabramente reale. Così reale da sollevare inquietanti interrogativi sull’origine di quei venti reperti anatomici, tutti cinesi, tutti muscolosi, tutti di mezza età, tutti senza i segni di debilitanti malattie. E allora al disgusto s’aggiungono gli interrogativi. A chi appartenevano quei corpi? Come sono morti? Chi ha permesso di trasformarli in scorticate e plastificate mummie esposte a pagamento? Le domande innescano raccapriccianti sospetti quando il dottor Gunther von Hagens, inventore del processo capace di plastificare le spoglie mortali, ammette di aver ricevuto dalla Cina cadaveri con i segni dell’esecuzione. I sospetti s’avvicinano alla certezza quando un trafficante di cadaveri cinese ammette di vendere a 200, 300 dollari l’uno i resti dei condannati a morte.
Per seguire questi quattro passi nell’orrore bisogna incominciare da «Bodies the Exhibition» la mostra di cadaveri plastificati che ha attraversato le principali città americane ed è ora sbarcata a Vienna, Madrid e Barcellona. I venti corpi umani trasformati in perfetti e asettici modelli poliesterizzati vengono presentati dalla Premier Exhibitions, la compagnia quotata a Wall Street che detiene i diritti della mostra, come un esibizione dall’alto valore educativo. La mostra spiegano gli organizzatori «consente accesso a immagini e conoscenze normalmente riservate solo a personale medico professionista». Fin qui tutto vero. I cadaveri scuoiati e modellati nelle pose più disparate permettono di osservare tutti i particolari più reconditi del nostro corpo dal cervello all’apparato digerente, dai muscoli alle ossa. La perfetta conservazione è frutto della cosiddetta «plastinazione» l’evoluto metodo di mummificazione messo a punto a fine anni ’70 dall’anatomo patologo tedesco Gunther von Hagens sostituendo liquidi e grassi con incorruttibili polimeri. Il processo mantiene inalterato l’aspetto d’ogni singola cellula rendendo malleabile e modellabile il cadavere permettendo di mettere un corpo in groppa ad un cavallo morto o, come si vede in “007 casinò Royale”, di riunire tre scheletri intorno ad un tavolo da poker.
I guadi della Premier Exhibitions iniziano quando il dissidente cinese Harry Wu, espatriato negli Stati Uniti dopo 19 anni di lavori forzati, mette in dubbio l’origine dei 20 corpi ricordando di aver dimostrato l’esistenza di un contrabbando di organi prelevati da condannati a morte: «La Cina mette a morte più prigionieri di ogni altro stato al mondo e nessuno – denuncia Wu – conosce con esattezza né il numero dei condannati né il destino dei loro corpi». E Fiona Ma deputato californiano di origine cinese fa notare che nessuna famiglia cinese acconsentirebbe ad «esporre i resti di un proprio caro in quel modo».

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